Il blog di Old Bicycle Records non si è rimesso in moto da molto…a resoconto dl periodo cosa di meglio che un'intervista rappresentativa?
Ci ha pensato Maurizio Inchingoli di The New Noise, la trovate qui sotto…
Come già sapete in genere da noi ci si occupa di piccole realtà discografiche, spesso quasi al limite del carbonaro, e
Old Bicycle Records non fa eccezione (un primo incontro era avvenuto circa un paio di anni fa). Forse sarò un inguaribile romantico, ma a me è sempre piaciuta l’idea di proporre qualcosa che non si trova (o si trova molto poco) in giro nei vari magazine, sia di carta sia su web. Così ho preso la palla al balzo e ho posto un bel po’ di domande a Vasco Viviani, non senza averlo provocato, lo ammetto; qui sotto trovate il lungo resoconto. A fine lettura poi date un’occhiata alla vostra collezione di dischi, e vedete se non manca qualcosa. Io vi ho avvisati.
Ciao Vasco, mi gioco subito la domanda provocatoria. Ci conosciamo da un po’ e conosco piuttosto bene quello che pubblichi. A volte però mi viene da pensare: chi te lo fa fare?
Vasco Viviani: Ciao Maurizio, innanzitutto grazie mille dell’invito.
L’ultima volta su The New Noise avevo scambiato qualche chiacchiera con Nicola Giunta sull’ormai mitica Hot Wheels, ed è sempre un piacere tornarci. Nessuna provocazione, anzi, la domanda è più che legittima. La risposta è semplice e, parafrasando gli spot della chiesa cattolica per l’8×1000, potrei dire:
… chiedilo a Giuseppe, allenatore di basket che da due anni mi acquista con rinnovato entusiasmo ogni uscita, chiedilo ai clienti fidati Danilo e Alessandro, gemelli, uno in Svizzera, l’altro in Italia (doppia copia), chiedilo a Simon e Corrado, che hanno fatto decine e decine di dischi fantastici e mi propongono le loro novità, chiedilo a Maurizio, che mi richiede le interviste…
Me lo fanno fare i musicisti che si propongono (vi fidate e mi affidate i suoni) e voi giornalisti che ne scrivete quasi sempre bene (grazie mille!), e soprattutto voi che ascoltate ed acquistate queste uscite, mandando avanti un circolo virtuoso. Sembra una ruffianata, ma è buona parte della verità, l’altra ovviamente è la gioia di poter vedere, toccare e ascoltare un’opera per la quale diverse persone hanno investito tempo, impegno e fantasia.
Ora me ne torno nei panni più professionali di chi scrive di musica. Quando hai cominciato a far uscire dischi e soprattutto qual è stata la vera molla che ti ha portato a fondare la Old Bicycle Records?
Inizialmente il bisogno era quello di un’estrema libertà espressiva. La molla è quella, una buona dose di incoscienza e la presunzione di poter veicolare qualcosa di importante e valido, che si spera rimarrà negli anni. Il primo disco uscito appartiene ad un’altra storia, e fu il debutto di mio fratello, Geneva In Neve di Soft Black Star, del 2006. Era il debutto di
Pulver Und Asche Records, la mia precedente avventura discografica. Ai tempi anche il buon Fabrizio Garau spese buone parole sull’ormai defunto Audiodrome. Sono passati gli anni, è nata la Old Bicycle Records nel 2011, che porto avanti in completa solitudine, ma in sostanza il discorso che mando avanti è il medesimo, vergato in una citazione all’interno della custodia di quel disco:
soul first, technique later!
Esprimere una passione o un innamoramento in ambito artistico; per me che sono negato dal punto di vista musicale, è semplicemente questo, liberarsi delle domande e dei dubbi, e presentare nel miglior modo possibile un discorso artistico sentito, senza badare appunto ai tecnicismi.
Fondamentale è il discorso anche estetico che sta alla base dell’etichetta. Mi riferisco chiaramente agli artwork, ai materiali scelti e usati per le singole uscite, sempre così particolari e curate (tra le mie preferite ti confesso che c’è quella di Nuno Moita & Matteo Uggeri, Batalha). Mi ricordo che tempo fa vidi uno speciale sulla tv svizzera, dove raccontavi un po’ di particolari a riguardo di questa avventura discografica…
L’artwork è una parte imprescindibile di un disco, anche nella sua assenza (pensiamo, ad esempio, agli Ossario di Nicola Ratti). Come un vestito rende più aggraziata una persona, una custodia rende più completo un album. Sarò all’antica, ma la musica incorporea e digitale mi sembra sempre mancante di qualcosa. I materiali sono stati molto vari nelle diverse fasi dell’etichetta: inizialmente la Tape Crash Series era contraddistinta dalle buste, poi ho scoperto delle bellissime custodie in cartone molto semplici da modificare ed abbellire per i nastri. Materiche, eleganti, belle da vedere e da toccare… Quando le copertine soddisfano questi requisiti ci siamo. Mi affido molto spesso ad artisti esterni per quanto riguarda le immagini, poiché mi sembra giusto sfruttare chi ha codeste capacità. È bellissimo quando questo viene fatto da un musicista, che interviene così in due campi sulla sua opera, Nuno Moita per quanto riguarda Batalha, Matteo Uggeri per gli Sparkle In Grey e Francesca Pizzo per i
Melampus, ma anche da esterni, penso a Gianmaria Aprile (dei
Luminance Ratio) per lo split
Balestrazzi/Uncodified, Jeffrey Postma per lo split fra Sparkle In Grey e Controlled Bleeding, o familiari, Paula per il lavoro del fratello Juan aka Futeisha.
Ora torno ancora più indietro e ti chiedo da dove vieni tu, intendo musicalmente parlando, e come scegli i progetti da pubblicare.
Musicalmente sono stato influenzato parecchio da mio fratello, almeno all’inizio, quando al ritorno dal Canada mi fece scoprire gruppi come Fugazi e Jawbreaker, così come i Naked City. Lì mi si è aperto un mondo che è cresciuto a 360 gradi, con pochissime barriere e passioni talvolta apparentemente contrastanti, tipo i Wolves In The Throne Room e Mauro Ermanno Giovanardi. Per quanto riguarda la scelta dei progetti da pubblicare, negli ultimi tempi si è avuta un’inversione di tendenza, con diverse proposte esterne molto buone che verranno concretizzate, e le classiche ricerche/proposte/sogni miei che imperterrito continuo a portare avanti. Devo dire comunque di avere già una bella lista di progetti per questo e il prossimo anno, con l’unico criterio possibile, quello del mio gusto personale.
Altra questione importante, e purtroppo sempre spinosa, ma credo di intuire la risposta: i dati di vendita. Puoi farmi una stima? C’è un rientro anche economico per te e i musicisti?
Questa è la classica questione che va chiarita ogni volta. Purtroppo non esiste un rientro economico per varie ragioni: la prima è che non esiste più il mercato discografico come lo si intendeva anche soltanto dieci anni fa, per quanto mi riguarda. Il mercato discografico come me lo ricordo io aveva una trafila abbastanza definita. Il musicista trovava un’etichetta, pubblicavano un disco, lo affidavano al distributore che lo mandava nei negozi, dove la gente lo acquistava. Nel frattempo i musicisti e l’etichetta vendevano le copie attraverso i loro canali. Oggi invece i distributori/mailorder sono pieni ed è difficile che si facciano carico di una nuova etichetta o di un nuovo disco, i negozi devi così contattarli direttamente e ti risponde il 5%; di questo 5% circa un terzo si fa carico di qualche disco, in conto vendita ovviamente, ed i soldi li vedi alla fine dell’anno.
Col tempo le uscite si esauriscono, certo, ma parlare di rientro economico in questo contesto è assurdo…
Pubblichi quasi tutto in cassetta, ma hai anche affrontato il discorso del vinile coi Silent Carnival, so che era la prima volta. Ci racconti se hai avuto delle difficoltà per quel disco?
Il vinile, il tanto adorato vinile… ti dirò, i
Silent Carnival sono stati il battesimo, ed in mano non me ne rimangono che quattro/cinque copie. Per quanto riguarda la filiera non ho mai agito direttamente, ma sempre tramite intermediari e co-produttori. Enzo e Benedetta di Viceversa Records per i Silent Carnival, Cristiano e Matteo per il loro disco, e Onga per l’album di
Paul Beauchamp. Le difficoltà sono i tempi, lunghissimi nella maggior parte dei casi. I prezzi, assurdi per quanto riguarda le spedizioni e livellati verso il basso per quanto riguarda le vendite, ma non solo nel vinile, anche negli altri formati siamo messi male. Dall’altra parte c’è la bellezza dell’oggetto e la soddisfazione a tenerlo in mano, così come la qualità del suono, ma a dirla tutta non è un formato per me imprescindibile. Non ho uno stereo buono a sufficienza per godere di tutta questa supposta qualità, e non ne ho bisogno. L’ho fatto sempre assecondando il desiderio del musicista, ora è tornato di moda e questo crea più danni che altro. Spero passi presto il periodo, ti dirò… La cassetta invece mi è più simpatica, soprattutto mi è affine a livello di tirature risicate e mi ci sono affezionato.
Ho notato poi, correggimi se sbaglio, una certa voglia di virare verso una forma di pop-rock più sofisticata, diciamo. Mi spiego meglio: la ultime uscite di Melampus e, appunto, Silent Carnival sono due discorsi piuttosto differenti rispetto, che so, a Simon Balestrazzi, Controlled Bleeding, Luca Sigurtà, Harshnoise, Stefano De Ponti… Dove vuoi andare esattamente? Hai intenzione di allargare ancora di più il tuo raggio d’azione stilistico? E continuerai a sostenere forme di co-produzione, come hai fatto appunto per il disco di Paul Beauchamp?
Ti dirò, è stato un caso e non c’è nessuna riflessione stilistica dietro. Amo il pop-rock più sofisticato (sto in fissa con
John Grant, al momento) così come il noise bello potente o le
imaginary soundtracks… Con il primo c’è la speranza effimera che possa arrivare a più gente e che sia più semplice veicolare la sostanza. In realtà no, che negli ambienti più a fascia larga, come le radio locali alle quali faccio capo qui in Ticino, è visto comunque come parecchio difficile, tant’è che in un anno ho avuto la bellezza di tre passaggi radiofonici in totale. Cifre ridicole, che ti fanno capire come purtroppo sia dura la comprensione di musica che non sia mero intrattenimento omogeneizzato, al di fuori di sparute eccezioni. In questo senso quindi l’apertura stilistica è un discorso che esiste da sempre e che si amplierà (la canzone d’autore italiana, il post-punk) e andrà a braccetto con le uscite più ostiche e sperimentali. Nei miei sogni reconditi vorrei riuscire a presenziare agli apici della fruizione “pubblica”, come incontrare uno sconosciuto che canticchia un motivetto OBR ed un altro che magari sbraita il suo sdegno per il casino infernale di un nostro brano! Per quanto riguarda le co-produzioni, finora ho avuto delle esperienze positive e verranno utilizzate solo quando necessarie. Questo autunno ne arriveranno due, un nastro e un cd. Finché proficue e utili verranno quindi portate avanti, ferma restando l’impronta che i marchi devono dare al disco: non sono un amante del guazzabuglio di etichette per forza, con dieci label differenti a suddividersi un disco. Sarò egoista, ma vedo la produzione come un lavoro che dall’intimo, il musicista, va al privato, la, o le poche etichette, ed al pubblico. Partendo in quindici persone mi sembrerebbe di non avere il controllo sui lavori e ci sarebbe il rischio che il prodotto non sia spinto in parti uguali da tutti, prendendo sottogamba la situazione. Comunque l’ultima co-produzione effettuata e le prossime due in programma sono condivise anche con etichette neonate; questo non può che farmi piacere, c’è bisogno dell’incoscienza e della passione di nuovi universi.
Altra questione importante: la promozione. Come la gestisci? Fai tutto da solo, vero? Ti prendi anche l’onere di dare una mano per organizzare i concerti delle band che hai in catalogo?
Eccoci qui, alla croce e delizia della moderna discografia, la promozione! Tendenzialmente faccio tutto da solo, c’è stato solo il caso particolare dei Melampus, che hanno liberamente deciso di appoggiarsi a un’agenzia esterna per il territorio italiano (Unomundo, con Valentina Bellè ai comandi) e la scelta si è rivelata molto proficua. Che dire, faccio da solo perché ritengo sia un compito imprescindibile di un’etichetta, che altrimenti si ridurrebbe a metter mano al portafoglio per sponsorizzare la registrazione e la stampa di un lavoro, e non mi sento un mecenate. Questo comporta parecchie volte delle interminabili attese, delle mail senza risposta da anni e delle risposte/richieste da parte di alcuni media che fanno venir voglia di investire tempo e quattrini in aperitivi, invece che in musica. Ma tant’è, ognuno sceglie la propria croce e deve conviverci! Per quanto riguarda i concerti è tutto un altro discorso: tendenzialmente tendo a passare la mano, specialmente nella mia regione, poiché negli ultimi tempi è diventato difficilissimo riuscire a cavare un ragno dal buco, ed inizio ad avere un certo fastidio nei discorsi istituzionali e ufficiali, in cui le risposte vanno per le lunghe e le scelte sono dettate da elementi che poco hanno a vedere con la cultura. Sono ovviamente più a mio agio con situazioni borderline e qualcuna qui in zona ce n’è, anche se agendo come esterno non è mai facile riuscire a trovare il timing e la proposta giusta. Tutto questo per dire che da quando Old Bicycle Records esiste sono riuscito ad organizzare quattro concerti di artisti dell’etichetta, ovvero gli Sparkle In Grey, i Muscle And Mussle (comprendenti Nicola/The Lay Llamas ed Eugenio/Eugenoise), Futeisha e i Silent Carnival. Non sono la persona a cui rivolgersi in loco, insomma. Per l’estero invece l’anno scorso ho organizzato un piccolo tour europeo per i Black Fluo, un progetto ticinese secondo me stupendo, e mi appresto a farlo di nuovo quest’anno per i Silent Carnival, con i quali siamo nella fase di lavori in corso.
Cosa ascolti in questo periodo e cosa ci consigli in particolare? Anche qualche band svizzera, perché no…
Cosa ascolto al momento? In questi ultimissimi periodi girano sullo stereo ed in auto un sacco di donne: le Girlpool, Mitski, Matana Roberts e Grace Jones. Poi Selfimperfectionist (progetto torinese gagliardissimo), i Pale TV, che ho scoperto recentemente, e l’hip hop mellifluo di Mecna. Di svizzero posso citare le The Statches, gli Houstones, Camilla Sparks, Niton che sono usciti ora col secondo disco, i Virunga ed i Pussywarmers & Réka.
Mi dici come vedi il presente e il futuro del tuo mercato musicale di riferimento? Per quanto piccolo, si tratta pur sempre di “mercato”. Dove si sta dirigendo secondo te?
Durissima dirlo, ho idea che in questi tempi le difficoltà globali e generali portino a produrre dischi di spessore, molto interessanti nel senso espressivo ed artistico, ma dentro a un cumulo veramente insostenibile di uscite mediocri e una mole di materiale difficilmente sostenibile. Sta come sempre all’ascoltatore attento saper viaggiare e a voi della stampa e della critica a guidarlo. Non sono positivo riguardo all’andamento, comunque; per quanto mi riguarda, così come già annunciato a Nicola nella nostra precedente intervista, OBR chiuderà (con un anno di ritardo rispetto a quanto preventivato, quindi a fine 2016) anche per questo motivo. Il mercato mi sembra “scassinabile” soltanto con una dedizione, una presenza e delle tempistiche a me purtroppo inarrivabili, quindi preferisco agire a questo livello al meglio, sapendo che l’incidenza di quanto fatto per me non si calcola col numero di copie vendute, e nemmeno col numero di “like” su una pagina, ma sul riscontro soddisfacente di una persona che ascolta qualcosa, magari di nuovo, poi torna. Il mio mercato è il singolo, uno per uno.
Ti interessa anche il settore delle ristampe? Hai intenzione prima o poi di portare avanti qualcosa in tal senso?
Non sono un grande fan delle ristampe e non ho mai pensato di entrare in questo settore, anche se tempo fa parlavo di un possibile progetto del genere con due amici attivi nelle zone oscure della musica, Nebo di Show Me Your Wounds e Sacha/Icydawn, che fu co-protagonista del mio primo nastro. Mi vedo maggiormente ad agire nel presente col presente, sperando che di questo rimanga traccia nel futuro. Dovessi farlo sarebbe un lavoro comunque sul contemporaneo, di qualcosa che conosco in prima persona, e che per un motivo o per un altro non sia più disponibile, o legato a una ricorrenza speciale, non vi dico di più riguardo a questo, ma avendo pazienza fino all’anno prossimo forse agirò anche in quel senso. Ad esempio sarebbe un sogno fare una versione, magari su nastro, di “Immortali Ospiti Sono Arrivati” di Stefano Giaccone (Beware Records), mini album del 1998. Lo farei soltanto perché di quel disco, che è uno dei miei preferiti, non mi rimane che la copertina e, seppure lo conosca a memoria, non mi dispiacerebbe riascoltarlo, magari su nastro.
Classica domanda finale. Prossime uscite e magari desideri, band e/o artisti dei quali ti piacerebbe pubblicare qualcosa. Fantastica pure se ti va.
Le prossime uscite saranno l’album su nastro di HEXN, “Al-kh-miyya”, in collaborazione con Non Piangere Dischi. È il progetto in solo di Alberto Brunello, dedito ad una psichedelia esoterica ed aperta, con parecchia personalità. Stiamo andando in stampa proprio ora e sarà una bella sorpresa. In secondo tempo un lavoro, sempre su nastro, di Giona Vinti, già noto come Fekete e Hyena (del giro rXstnz). Lo conobbi nel 2009 ad un live all’Arci Blob ad Arcore in cui suonammo come Nufenen, e da quel momento l’ho sempre seguito da lontano fino a che qualche tempo fa ci siamo decisi! Quindi ci si aprirà a due lavori di bella musica in italiano: “Fuori Stagione” de Il Lungo Addio, di Fabrizio Testa, in compagnia di Piadina Records, e le sue tematiche di amori tristi sul litorale con la collaborazione di diversi splendidi nomi; poi “Canti Impopolari” di D’Ora Stella, artista che da tempo naviga delle torbide acque dell’italica musica sotto diversi pseudonimi. Per finire con l’ennesimo appuntamento della serie di split, protagonisti a questo giro Post Mortem (Jan Kees Helm) e Stefan Christoff, due poli-artisti, il primo olandese ed il secondo canadese.
Più tardi, e qui vorrei aprire una piccola parentesi, vorrei fare da “chioccia” e far schiudere due bellissimi progetti ticinesi già citati fra i miei ascolti, Virunga ed Houstones, facendo girare i loro bei suoni fuori dalle latitudini nazionali. Pur essendo forzatamente apolide riguardo alle mie mire produttive, e come tipo di mercato, non vorrei trascurare le cose belle che nascono vicino a casa mia, soprattutto chi fosse abbastanza scriteriato da darmi credito. I due nomi di sopra sono rappresentativi del buono dei dintorni, e si proverà quindi ad aprirli verso il resto del globo…
Per i sogni, quindi, al momento non c’è più posto in catalogo, ma visto che non dirlo sembra brutto, non mi tirerei indietro davanti a un bel live postumo di David Grubbs e Jim O’ Rourke come Gastr Del Sol (che le reunion mi sono indigeste), un album inedito e dimenticato dei Surrogat, quanta crucca ignoranza e cazzutaggine nel loro Rock di casa KItty-Yo nel 2000, e un nastro di Federico Buffa, che racconti le gesta epiche di qualsiasi cosa voglia, amo il pathos di quell’uomo!
Cos’altro aggiungere? Grazie mille per la chiacchierata Maurizio, è sempre un piacere!
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